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    Grant Thornton International, noto gruppo americano, ha realizzato delle indagini sulla presenza delle donne nei ruoli di rilievo all’interno delle aziende, soprattutto ruoli d carattere dirigenziale.

    La ricerca, condotta a livello mondiale, ha individuato l’Italia come isola felice sul fronte della parità tra i sessi, col 36% delle donne lavoratrici impegnate in ruoli da dirigente.

    Queste rilevazioni stridono, non poco, con quanto emerso dai dati raccolti dall’Inps che affermano che, in realtà, le donne che sono riuscite a raggiungere i suddetti livelli, sono solo poco più di un terzo del numero indicato da Grant Thornton.

    Laura Cuni Berzi, partner di Ria & Partners, member firm del gruppo americano, ha evidenziato un aumento della presenza delle donne nel management: in soli 5 anni dal 14% è salita al 36%.

    Indubbiamente la progressione è notevole e accertata, ma resta il fatto che altri dati sono ancora fermi, come la presenza rosa nei Consigli di amministrazione delle Pmi italiane (13%).

    In più, sui numeri la discussione è apertissima. (G-Veronica Notaro)

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    Se si paragonano le buste paga dei laureati italiani nel 2005 e nel 2010 si scopre che per i lavoratori con un titolo universitario poco è cambiato. Anzi, la retribuzione è addirittura scesa di 212 euro.

    I dati sono evidenziati dal “Monitoraggio del mercato del lavoro 2011”, pubblicato ieri, 8 marzo, da Isfol. Secondo il rapporto, tale anomalia è quasi esclusivamente italiana. Infatti nel resto d’Europa, tra il 2005 e il 2010, il reddito medio di un laureato è cresciuto di 1.390 euro: l’incremento maggiore l’hanno registrato Francia e Germania, ma aumenti sono stati registrati anche da Spagna e Grecia. Sono calate invece le retribuzioni di Portogallo e Regno Unito.

    Da qui l’esigenza di cambiar rotta, anche per far sì che le aziende investano maggiormente sui laureati. (G-Stella Ferres)  

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    Meno di una donna su due partecipa al mercato del lavoro, al Sud meno di una donna su tre.

    Proprio partendo da questi dati, tutt’altro che positivi, si dovrebbe vivere l’8 marzo in maniera differente, magari come un punto di partenza per migliorare la situazione lavorativa, e non solo, delle donne.

    L’Europa ci suggerisce di fare questo, affinché la giornata della festa della donna non diventi uno stanco rituale o continui ad essere una ricorrenza prevalentemente commerciale.

    L’Italia ha tanto da fare al riguardo, visto che è ancora il Paese con il tasso di occupazione femminile più basso in Europa, fatta eccezione per Malta.

    La crisi economica ha colpito soprattutto le donne e i giovani.

    La Commissaria Ue alla Giustizia, nel commentare in questi ultimi giorni i dati sulla scarsissima presenza rosa ai vertici delle imprese, ha suggerito che la Commissione potrebbe imporre delle quote di rappresentanza di genere, testimoniando che l’Italia, per una volta, ha anticipato le indicazioni europee in merito.

    Lo scorso anno, indubbiamente, abbiamo potuto notare una maggiore presa di coscienza, da parte delle donne, in riferimento al loro ruolo nella società e nell’economia. Insomma, la voce del mondo rosa si è fatta sentire, eccome.

    Tenendo conto del fatto che l’idea che il lavoro femminile sia una risorsa qualificata a cui affidare il rilancio del Paese è sempre più diffusa, sarebbe giusto farsi sentire quotidianamente. (G-Veronica Notaro)

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    Sul libro bianco delle pensioni si legge che, già nel 2020, gli italiani andranno in pensione non prima dei 66 anni e 11 mesi, contro i 65 anni e 9 mesi della Germania e i 66 anni della Danimarca. E l’età è destinata ad aumentare perché viene adeguata al consolidamento delle aspettative di vita, così che nel 2060 si prevede che si andrà in pensione a 70 anni e tre mesi.

    Sempre in Italia, si teorizza un taglio consistente del tasso di sostituzione di ben 15 punti tra il 2008 e il 2048, che dovrebbe ridursi a 5 punti per via dell’aumento dell’età pensionabile, che fa crescere l’importo della pensione.

    Nel report viene sollecitata l’occupazione di qualità: più lavoro ben retribuito e più entrate contributive, che si traducono in più soldi da destinare alle pensioni e più crescita, con il conseguente miglioramento del rapporto spesa previdenziale-Pil. (G-Stella Ferres)

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    L’obiettivo dell’Ue è quello di favorire la mobilità di lavoratori e studenti attraverso progetti mirati ed incentivi.

    Ecco alcune tappe del piano di sviluppo previsto dall’Unione europea:

    -      incentivare l’imprenditoria giovanile mediante programmi di sostegno e risorse pari a 3 milioni di euro;

    -      offrire assistenza finanziare a 5mila giovani nel 2012-2013, per aiutarli a trovare un impiego anche in un altro Stato tramite l’iniziativa “Tour first Eures Job”;

    -      destinare 1,3 miliardi di euro al Fondo sociale europeo per supportare la creazione di nuove opportunità per i giovani attraverso gli stage;

    -      inviare nei Paesi a più alta disoccupazione giovanile (tra cui l’Italia) dei funzionari della Commissione europea per definire un piano finalizzato alla creazione di nuovi posti di lavoro e alla formazione dei giovani;

    -      finanziare le attività di volontariato;

    -      attivare per il 2012 130mila tirocini tramite i programmi Erasmus e Leonardo Da Vinci;

    -      aumentare di 600 possibilità gli scambi Erasmus per gli imprenditori nel 2012. (G-Veronica Notaro)

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    L’analisi ha tenuto conto di numerose variabili.

     L'indagine è stata condotta dall'Erasmus School of Economics di Rotterdam.

    Per quanto riguarda la variabile sesso, risulta che le lavoratrici si assentino per il 3,16% in più rispetto ai colleghi uomini. Lo stesso vale per chi è giovane: i lavoratori con più di 51 anni si assentano meno rispetto ai ventenni.

    Anche un più elevato livello di istruzione garantisce maggiore presenza sul posto di lavoro, e chi soffre di problematiche legate alla salute ha il 9,2% di probabilità in più di assentarsi rispetto a chi è sano.

    Anche l’essere un fumatore aumenta il rischio di assenze del 3,5%.

    Inoltre, il fattore famigliare influisce negativamente sulle presenze lavorative: si assentano maggiormente i lavoratori con una famiglia numerosa, e chi si prende cura degli altri fa più assenze rispetto a chi è single.

    Vi sono anche delle differenze tra Paese e Paese. La Danimarca è lo Stato in cui i lavoratori si assentano di meno, mentre in Italia, Portogallo, Francia, Spagna, Irlanda e Grecia si assentano di più quelli che hanno studiato meno.

    In generale, i lavoratori che operano in aziende con meno di 20 dipendenti hanno minori probabilità di assentarsi rispetto ai lavoratori delle grandi aziende, e chi lavora nel pubblico fa più assenze rispetto a chi è nel privato.

    In Italia, è questo l’identikit del lavoratore che si assenta di più dal posto di lavoro: donna, con uno stato di salute non buono, con un livello di istruzione basso ma con un’alta soddisfazione al lavoro, di una piccola azienda o impiegato statale. (G-Stella Ferres)

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    La Commissione europea, al fine di far fronte alla difficile situazione dei giovani inoccupati, ha inaugurato un programma dal nome Youth Opportunities, che consiste in una serie di progetti iniziative riguardanti i settori della formazione e della giovane imprenditoria.

    Nello specifico, quattro milioni di euro sono destinati a garantire sistemi di formazione specifici per ragazzi che abbandonano gli studi.

    Il Fondo sociale europeo incrementerà del 10% le ricorse per l’apprendistato, con l’obiettivo di creare 370 mila nuovi contratti nel biennio 2012-2013.

    Una novità interessante concerne coloro che intendono avviare un’azienda; infatti, sono previsti fondi per tre milioni di euro per incentivare gli Stati membri a supportare e sostenere i giovani imprenditori. (G-Nicole Elia)

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    In uno scenario in cui le pensioni comportano una crescente pressione finanziaria sui bilanci nazionali, soprattutto alla luce delle restrizioni recate dalla crisi, la Commissione europea ha pubblicato il Libro bianco sulle pensioni. Esso propone una serie di iniziative per creare le condizioni per creare un migliore equilibrio tra la vita lavorativa e la vita da pensionati, favorendo coloro che sono ancora in grado di continuare a lavorare, perché continuino a farlo.

    Altro obiettivo è assicurare che le persone che si trasferiscono in un altro stato possano mantenere i loro diritti pensionistici.

    Inoltre si vuole aiutare le persone a risparmiare di più e garantire che le prospettive di pensione siano mantenute, assicurando quanto dovuto ai lavoratori una volta pensionati. (G-Stella Ferres)

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    Tantissimi giovani europei, tra i 20 e i 35 anni, sono i protagonisti dell’esodo che sta interessando l’Europa.

    Si tratta soprattutto di laureati e celibi, che costituiscono la nuova classe dirigente che lascia il proprio Paese d’origine per sfuggire alla disoccupazione.

    Nello specifico, sulla base dei dati Eurostat, possiamo dire che l’Ue ha perso 1 milione di abitanti l'anno nel periodo compreso tra il 2005 e il 2010.

    Il motore che incrementa i flussi in uscita è senz’altro la mancanza di lavoro, nonché l’insoddisfacente remunerazione.

    Ma quali sono i Paesi più gettonati verso i quali i giovani europei si muovono?

    I giovani spagnoli emigrano in particolare verso la Colombia, il Cile e il Messico.

    Mentre, 3 portoghesi su 10 si dicono pronti ad andare in Brasile.

    I Greci optano soprattutto per i Paesi dell’Europa occidentale, come Australia e Scandinavia.

    L’Irlanda detiene il record per quanto concerne l’esodo giovanile: su 1000 soggetti, 9 lasciano l’isola per gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, l’Australia e il Canada.

    E il nostro Paese? Di certo non se la passa meglio degli altri. La fuga dei cervelli e la crescente disoccupazione non aiutano. (G-Nicole Elia)

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    In base agli ultimi dati Eurostat, ben otto milioni e mezzo di lavoratori, tra i 15 e i 74 anni, operano con un contratto part time.

    Questa forma contrattuale risulta essere la più usata in Europa.

    Ma non è di certo l’unica: Francia e Belgio, ad esempio, puntano molto sul tirocinio, con un rimborso spese previsto dalla legge.

    La Spagna, invece, spinge soprattutto sulle agevolazioni fiscali per color che assumono disoccupati con meno di trent’anni.

    In Paesi come Ungheria, Slovacchia e Polonia, allo scopo di combattere la disoccupazione, è molto diffusa la pratica di assumere non mediante il contratto collettivo, bensì con un accordo di tipo individuale, sottoposto non al diritto del lavoro, bensì al diritto commerciale.

    Invece, la Germania punta tantissimo sulla scuola per l’apprendistato, tramite una formazione strutturata in 400-500 ore all’anno (nelle scuole italiane le ore sono molte di meno, 50-60).

    Proprio il nostro Paese vorrebbe puntare sul modello scelto dal governo tedesco, al fine di dare sempre più spazio ai giovani attraverso l’apprendistato.

    Di recente, è stato adottato il nuovo testo unico sull’apprendistato e sono stati previsti dei limiti per i tirocini formativi e di orientamento, soprattutto per quelli definiti non curriculari, ovvero che non rientrano nei percorsi di studi universitari. (G-Veronica Notaro)

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    Nella giornata di ieri 30 gennaio, il presidente della Commissione, durante il consiglio europeo, che si è tenuto a Bruxelles, ha presentato un nuovo piano finalizzato al rilancio della crescita nell’Unione europea.

    Il piano prevede lo sblocco di 82 miliardi di euro, da indirizzare soprattutto al settore del lavoro.

    Otto miliardi sono destinati al nostro Paese; infatti, l’Italia fa parte, insieme a Spagna, Slovacchia, Grecia, Portogallo, Lituania, Lettonia e Irlanda, del gruppo di paesi con la disoccupazione giovanile più alta.

    La Commissione metterà a disposizione fondi sociali e fondi regionali non ancora utilizzati.

    La volontà, nonché la necessità, di agire in favore dell’occupazione deriva senz’altro da un dato fortemente allarmante: oltre 23 milioni di persone sono disoccupate in Europa. (G-Veronica Notaro)

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    Il servizio è completamente gratuito e offre informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro di 31 Paesi, oltre a dare la possibilità di scoprire quali sono le università più adatte per uno specifico corso di studi, o le offerte di lavoro attive in uno Stato, una Regione o una città.

    Gli annunci sono aggiornati in tempo reale e i datori di lavoro e i candidati hanno la possibilità di crearsi un account per pubblicare annunci e curricula, fornire informazioni sul proprio profilo e ricevere risposte tramite posta elettronica.

    Sono previsti, tra le azioni europee per far fronte alla crisi, nuovi finanziamenti a Eures per il 2012 e 2013, per facilitare l’assunzione di 5.000 ragazzi in Paesi diversi dal proprio. (G-Ilaria Laudisa) 

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    In Europa vengono utilizzati principalmente due istituti come ammortizzatori sociali: interventi per il sostegno del reddito nelle fasi di sospensione del rapporto di lavoro e trattamenti economici riconosciuti dopo il licenziamento.

    Per quanto riguarda la prima tipologia di interventi, in Danimarca presupposto per attivare la tutela è la riduzione di almeno 7,4 ore di lavoro rispetto all’orario settimanale a tempo pieno. In Germania è prevista una tutela per i casi di riduzione dell’orario di lavoro per ragioni economiche e in Francia la tutela è per i casi di sospensione del lavoro per ragioni economiche, occasionali, cicliche o tecniche. In questi casi viene erogata un’indennità pari al 75% delle ore non lavorate.

    Per gli interventi post licenziamento, il modello scandinavo è caratterizzato dal riconoscimento di trattamenti contro la disoccupazione molto alti e molto lunghi nel tempo, legati alle politiche attive.

    Molti altri Paesi dell’Ue si collocano in una posizione intermedia. La Spagna riconosce una percentuale dell’ultima retribuzione per un periodo di pochi mesi. Molti Paesi riconoscono un trattamento economico a prescindere dall’anzianità lavorativa, il cosiddetto reddito minimo, che garantisce ampia copertura economica contro l’indigenza ma è poco efficace per stimolare il reinserimento nel mondo del lavoro. (G-Stella Ferres)

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    Una ricerca commissionata dalla Scuola di relazioni industriali di Confindustria Bergamo, presentata nei giorni scorsi, fa luce sulla situazione italiana circa la flessibilità dell’orario di lavoro.

    Emerge che alle nostre imprese serve una maggiore e migliore flessibilità del lavoro, possibile con una puntuale applicazione degli strumenti già esistenti, che vengono utilizzati raramente.

    In questi ultimi anni le imprese italiane hanno dimostrato un’ampia propensione alla flessibilità nella gestione dei contratti di lavoro, ma sono frenate da un sistema giudiziario che interpreta in maniera restrittiva la minore rigidità voluta dal legislatore e dall’impreparazione dei sindacati.

    In Europa si sono sviluppati sistemi di regolamentazione dell’orario di lavoro differenti tra loro, con diversi livelli di flessibilità, sia in termini di durata che di distribuzione delle ore lavorative nel corso della settimana e dell’anno.

    Nella Comunità Europea, la media complessiva del numero di ore settimanali lavorate ammonta a 40,5, ma nel 2010 le ore si sono ridotte a 37,5.

    Si prevede la possibilità di un orario massimo settimanale di 48 ore, anche se tale opportunità continua a far discutere.

    Attualmente, i lavoratori dell’Ue che prestano attività lavorativa per oltre 48 ore settimanali sono in diminuzione e ammontano solo al 9% dell’intera forza lavoro.

    Tale riduzione è dovuta al continuo sviluppo di forme alternative di organizzazione flessibile dell’orario, come la distribuzione variabile delle ore nel corso dell’anno e il ricorso al working time banking. (G-Ilaria Laudisa)

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    La proposta direttiva presentata ieri 19 dicembre dalla Commissione europea va a modificare la 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali recepita in Italia col decreto legislativo n. 206/07.

    Essa suggerisce la creazione di un tesserino europeo che certificherà le qualifiche professionali, allo scopo di continuare a esercitare in qualunque paese dell’Ue.

    La Commissione ha come obiettivi anche l’aggiornamento dei requisiti minimi di formazione per le professioni di medico, farmacista, infermiere, dentista, ostetrica, architetto, veterinario, nonché l’introduzione di un sistema di allerta da attivare per la segnalazione del divieto di esercizio della professione nel settore sanitario che avrà valore in tutta Europa.

    Per quanto concerne i notai, questi potranno svolgere all’estero tutte le attività che non prevedono l’apposizione del sigillo di Stato. (G-Nicole Elia)

     

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